EPPOI@
Vi ricordate che prima aveva suonato un Testimone di Geova?
Aspettate che vado ad aprire. Come faccio a sapere che è un TDG prima di avere aperto? Be’, di domenica chi volete che sia?
Come fanno ormai tutti, anch’io ho messo da anni il mio bel cartello fuori della porta con scritto sopra: “ALLA LARGA I TESTIMONI DI GEOVA”.
Quella domenica però, in spregio al cartello, aperta la porta, mi vedo un uomo vestito di marrone con la faccia da rospo che prometteva d’essere un seccatore come ne esistono pochi.
Ero andato ad aprirgli idrofobo: “O pidocchio dalle pupille raggrinzite… ! Che non sai leggere!?” Gli avevo detto, divertendomi a simulare un improbabile accento toscano. Eh, eh, ero proprio furbo a trattarlo male! Se sei gentile con un Geova o con un assicuratore, non ci guadagni niente, anzi: è facile che poi ne trovi in casa uno sciame. Adesso queste cose le ho imparate, ma una volta non ero così. Ho dovuto fare dei corsi per imparare a dire di no. Pensate che una volta, qualche anno fa, ho dovuto perfino chiedere a LM, il Mio Avvocato, di presenziare a un appuntamento che avevo incautamente preso con due assicuratori, perché io in generale non so dire di no, e senza di lui avrei firmato qualunque cosa mi avessero messo sotto il naso (sono andato anche a un corso per cercare di risolvere questo problema: ho la sindrome di Ned Flanders).
Il Geova poi è un egregio psicologo, e basta una sfumatura d’indecisione perché si accorga subito che sta trattando con un pasta frolla senza un briciolo di maroni per cacciarlo via di casa.
Purtroppo infatti, nonostante la mia finta grinta, l’uomo vestito di marrone, un molosso della petulanza, aveva captato al volo che ero uno pseudo-duro, e non gli era stato difficile infilare un metaforico piede nello spiraglio della porta.
“Signore”, mi disse “Io non sono un TDG, come lei sta pensando” (io in realtà, più che un TDG, ero ormai giunto a pensare che fosse una TDC).
“…Il mio compito è quello di valorizzare le risorse naturali degli esseri umani. La ditta che ho fondato si chiama Eppoi®, bla, bla, ed è interessata al miglioramento della qualità – che trovo eccessivamente scadente – della vita.”
“Cosa sarebbe questa ditta Eppoi®?” Gli chiesi, concedendogli una breve possibilità d’interlocuzione intelligente, fallita la quale gli sarebbe stata stritolata ogni sillaba sovrabbondante nella battuta della porta.
“Ehe, caro Signore, L’Eppoi® opera in un settore che tira molto, e ogni giorno che passa abbiamo circa centosessantamila nuovi potenziali clienti…”
Sul cappello aveva un distintivo con su scritto: “Noi siamo pronti per te. Tu sei pronto per noi?”
Che fosse uno jettatore?
“…Mi sono trovato a fare questo lavoro per pura combinazione e il mio primo cliente è stato un parente. Tante famiglie non sanno che possono dare, senza sforzo, un contributo sostanziale allo sviluppo dell’Industria… Sono convinto che lei per esempio non sa che le 208 ossa del corpo umano, macinate, bollite e asciugate, possono servire ad ingrassare i cuscinetti a sfera degli skateboards di mezzo mondo e che l’olio d’ossa – quando non è impegnato nella preparazione delle candele – è un valido e comprovato repellente per gli insetti…” Parlava con voce sognante, affettata, come se volesse guadagnarsi la mia simpatia. Il suo argomento suonava un po’ lugubre, ma ero curioso di capire dove volesse arrivare.
“le ossa carbonizzate” proseguì “sono un filtro ideale per gli impianti di depurazione dell’acqua, e la gelatina ottenuta dai tèndini dei defunti spesso finisce nei vasetti di yogurt, come addensante. E lo sa che un essere umano, spianato sotto una pressa, coi suoi tre metri quadri e passa di cuoio, porta in sé un set di valige da fare invidia a Louis Vuitton?” Io cominciavo a sentire dei brividi lungo la schiena e mi s’apriva una visione terrificante della realtà e del posto che occupavo in essa, in quanto pedina della scacchiera cosmica del ‘non si butta più via niente’, e mi si sarebbe gelata anche l’ultima goccia di sangue nelle vene se un rimasuglio d’ottimismo non m’avesse suggerito: ‘guarda che deve trattarsi d’uno scherzo’.
Il tipo però riprese imperterrito il discorso già pronunciato chissà quante volte: “Prendiamo per esempio la pelle umana: mescoliamola con una soluzione a base di calce e lasciamola marinare un giorno intero in un pozzo di cemento. Sciacquiamo la miscela e facciamola bollire per nove ore: il residuo biancastro così ottenuto sarà nientemeno che gelatina fotografica! Anche il derma è preziosissimo! Bollito e filtrato, serve a produrre colla! Lei come crede che rimanga appiccicato lo zolfo dei fiammiferi sul bastoncino di legno? Su, me lo dica!” L’uomo si stava scaldando e adesso gesticolava, tutto pieno di trasporto…
Al corso per dire di no, una delle prime cose che m’avevano insegnato era che se ti sei già preso in casa un venditore o un assicuratore o un TDG, almeno devi trattenerti dal rispondergli, dal dargli corda [devo però ammettere che i corsi con me fanno quello che possono: una volta, per dimostrare a me stesso che avevo imparato a dire ‘no’, avevo ‘strafatto’, riappendendo la cornetta a un manager della Sellerio che voleva pubblicarmi un libro, avendolo scambiato per un venditore di enciclopedie. Pentitomene, per un certo periodo ero tornato più “mansueto” di prima. Tra l’altro ho un comportamento patologico anche nei negozi: se varco, varco: quando entro, debbo comprare. Quando invece mi siedo al ristorante ordino tutte e tre le portate e non contesto mai la qualità del vino (la tiritera del “questo vino sa di tappo” mi vergogno anche se la sento fare a un altro tavolo e perfino pensando che ci sia qualcuno che la fa in un altro ristorante), do un’abbondante mancia e non lascio mai cibo inevaso nel piatto. Ultimamente ho constatato una deriva merceologica preoccupante: non esco dal cinema prima della parola fine nemmeno se il film mi fa schifo. Ho paura che la maschera possa chiedermi: come mai se ne sta andando? Non le è piaciuto il film?].
“…Lo vede che non sa rispondermi? Glielo dico io: lo zolfo dei fiammiferi rimane attaccato al bastoncino di legno con un po’ di mastice umano! Senza contare che il collagene, gli enzimi, la placenta e la cheratina sono i migliori ingredienti al mondo per la preparazione dello shampoo per i capelli… Lei non ha idea di quanta vita ci sia in un morto! Non omnis moriar! Faccia una firma qui, diamo cinquecento euro a cadavere, naturalmente trattiamo coi vivi…”
Era uno jettatore! Era uno jettatore! Nel duplice senso che lo era sul serio e che ora non lo è più.
Ho infatti provveduto ad eliminare lo stucchevole rappresentante di quell’indegna ditta. L’ho fatto per scongiurare l’eventualità che l’orrenda Ruota della Natura disgreghi le mie molecole per poi aggregarle ancora; l’ho fatto per esser certo che gli elementi decomposti del mio corpo verranno anch’essi annientati alla mia morte, affinché vagando non possano ricomporsi di nuovo.
Cos’avete capito? Non l’ho mica ucciso…
Sono riuscito a dirgli di no. E per me è stata una bella impresa; tra l’altro ho subito dato ferree disposizioni che – giunta la mia ora – mi si cremi. Però non so se mi riprenderò dallo shock: mi si drizzano ancora i capelli in testa al pensiero che qualcuno possa ricombinare le mie ceneri e farmi vivere una seconda smunta vita, con la forza di gravità e tutto. E’ mai possibile che i miei diritti si riducano alla libertà di scelta fra lo skateboard, lo yogurt e i filtri di carbone? E se Formigoni decidesse di tenermi in vita con le flebo anche da morto!?





